"Uno dei più importanti scrittori del
Novecento italiano."
"Fra i più notevoli rappresentanti della letteratura e della coscienza
contemporanee."
Quando scoppia il "caso Svevo" - siamo nel 1925-26 - lui, l'autore, aspetta
da trent'anni. I due romanzi che ha pubblicato a sue spese hanno avuto pochi
lettori e pochissimi recensori. Ma finalmente qualcuno scopre la modernità,
la novità della sua opera e la sua fama è subito europea. Peccato che sia
arrivata tardi e che non ci sia quasi più tempo per goderne i frutti…
Vissuto più nel secolo scorso che nel nostro, in effetti, Svevo appartiene
sicuramente al Novecento: le certezze del realismo, l'oggettività del
naturalismo e del verismo che hanno dominato nella narrativa ottocentesca si
rivelano inadeguate ad esprimere quella che è l'inquietudine profonda
dell'individuo e la crisi della società.
L'avvento della psicoanalisi e l'interesse per l'indagine della coscienza e
dei suoi meccanismi, il relativismo e la frantumazione del reale entrano
prepotentemente in letteratura: Proust e Joyce ne sono i massimi esponenti,
con Svevo appunto, e Pirandello.
Svevo inoltre, si può anche definire come il maggior scrittore in lingua
italiana di formazione mitteleuropea.
La vita
Trieste, cosmopolita e fervida di traffici sotto il regime
austroungarico, è la città in cui nacque nel 1861 Ettore Schmitz e nella
quale egli ambienterà tutta la sua opera. Di famiglia ebrea di agiati
commercianti nel settore vetrario, viene messo in collegio in Baviera e si
appassiona soprattutto di letteratura tedesca. Tornato a Trieste a 17 anni
per completare gli studi commerciali, in seguito al fallimento
dell'industria paterna, nel 1880 si trova nella necessità di trovare un
lavoro: entra come impiegato alla viennese Banca Union, dove resterà vent'anni.
Gravissimi lutti in famiglia - il carissimo fratello Elio, il padre e poi la
madre - non gli impediscono una ricca attività: nelle ore libere dal lavoro
si dedica allo studio del violino e, soprattutto la notte, a scrivere.
Nel 1892 pubblica il romanzo
Una vita
e nasce Italo Svevo, lo pseudonimo che mai più
abbandonerà e che accosta le due culture e le due lingue dell'autore (gli
studi erano stati compiuti in tedesco, in casa parlava triestino). Il libro
guadagna qualche segnalazione, ma passa sostanzialmente inosservato.
Nel 1896 sposa una
cugina, Livia Veneziani, figlia di un ricco industriale e l'anno dopo nasce
la figlia Letizia.
Sono anni intensamente creativi:
nel 1898 esce il secondo romanzo,
Senilità,
che cade in silenzio ancora più del primo. Dopo che il suocero gli chiede di
lasciare la banca e di diventare socio nella sua fabbrica di vernici
sottomarine, Schmiz viaggia spesso per l'Europa e si occupa intensamente
dell'azienda: sembra che l'attività letteraria sia abbandonata. In realtà,
Svevo è vivo e vegeto: scrive novelle e testi teatrali che forse nessuno
leggerà, ma la sua vocazione letteraria e il piacere della scrittura sono
più forti della delusione che è in lui per l'indifferenza che lo circonda.
Nel 1906 s'iscrive alla Berlitz School per migliorare il suo inglese, che
gli è necessario nei rapporti di lavoro e conosce un insegnante irlandese
eccezionale: è James Joyce.
Presto le lezioni
diventeranno private: non si fa cenno alla grammatica, ma si parla
soprattutto di letteratura e, su insistenza di Joyce, Svevo gli dà i suoi
romanzi, che vengono giudicati positivamente. Nasce un'amicizia importante.
Fra il 1908 e il 1910 Svevo legge Freud e libri di psicoanalisi. Oltre
l'interesse teorico c'è quello pratico: per valutare l'opportunità di far
curare un suo parente tiene una corrispondenza con in medico collaboratore
di Freud. Non ha molta fiducia nell'applicazione terapeutica della
psicoanalisi e scrive che Freud è più importante per i romanzieri che per
gli ammalati.
Intanto, con lo scoppio della guerra, la fabbrica di vernici
è ferma: c'è molto tempo libero e il romanzo torna a prendere forma in Svevo.
Nel 1919 inizia a scrivere
La coscienza di Zeno
che viene pubblicato, sempre a spese dell'autore,
nel 1923. L'anno dopo Joyce, che si è trasferito a Parigi e che è entusiasta
del libro, ne parla ai suoi amici, letterati italianisti, che vogliono
conoscere la sua opera. Viene deciso il "lancio" di Svevo in Francia. Anche
Montale scrive elogi sul romanzo e sull'autore rivelandolo al mondo
letterario italiano. Nel '27 La coscienza di Zeno viene tradotto in
Francia e Svevo si batte per la riabilitazione dei primi due romanzi,
annegati nell'oblio della critica italiana. In un clima di rinnovata fiducia
continua a scrivere novelle, poi inizia un nuovo romanzo e stende un suo
"Profilo autobiografico". La salute tuttavia non è brillante. Nel marzo del
1928 al Pen Club di Parigi viene organizzato per lui un omaggio celebrativo,
con la presenza di oltre cinquanta intellettuali europei, fra i quali Joyce.
E` il momento che più lo ripaga delle delusioni e dell'attesa di veder
riconosciuta la sua opera.
Un banale incidente automobilistico ha
conseguenze definitive: Svevo muore nel settembre del 1928 a Motta di
Livenza. Ha 67 anni.
La questione della lingua e dello stile
Una delle ragioni fondamentali dell'insuccesso
di Svevo presso i pochi critici italiani che lo lessero prima del suo lancio
(ma anche dopo) fu la lingua, che certo non era elegante né pura, se mai
trasandata e sciatta. Insomma Svevo, si disse, scrive male. Anche lo stile
narrativo è sintatticamente impacciato, spesso involuto e rigido.
L'autore triestino, di formazione tedesca e
condizionato dal dialetto parlato correntemente, ebbe sempre coscienza di
questo limite e più volte cercò di farsi aiutare a limare e purificare i
suoi romanzi.
Ma ciò che importa notare è che lingua e stile
badano soprattutto alla concretezza, a una robusta, solida, corporosa
stringatezza. Per la sua scarna e sobria linearità, la sua scrittura è
antiletteraria, eppure risulta estremamente espressiva, in essa vibra un
accento di verità intenso, suggestivo e originale, da artista autentico.
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