Apicio (Marco Gavio)

 

Nato intorno al 25 a.C., fu erede di un gran patrimonio che sperperò per soddisfare la sua passione per le raffinatezze della tavola.

Marco Gavio soprannominato Apicio ( nome di un famoso ghiottone del secolo precedente) passò alla storia per l’eccessivo amore per l’arte dei fornelli a cui sacrificò tutto il suo patrimonio e la vita; secondo la testimonianza di Seneca, Apicio si ridusse in povertà e si suicidò.

Il tenore di vita di Apicio era molto elevato e come tramanda Plinio era pronto ad armare una nave e partire per la Libia solo per pescare favolosi pesci.

I suoi manoscritti “De re coquinaria”, tramandano il nome di Celio Apicio e non quello di Gavio, come invece si apprende da tutti gli storici romani.

Dalle testimonianze di Tacito e Seneca  possiamo affermare e credere nell’esistenza di un Apicio autore di questi manoscritti.

L’opera, se pure, ampliata, corretta e accresciuta da molte mani, fino al IV sec d.C., testimonia l’evoluzione dei gusti alimentari della classe dominante romana fino alla caduta dell’Impero e anticipa alcuni cambiamenti sociali.

Dalle analisi si può dedurre che Apicio scrisse due opere ben distinte: una raccolta di salse e intingoli con tutte le ricette e la lista degli ingredienti, e una seconda di piatti completi, con le figure dei recipienti e degli attrezzi da cucina necessari.

L’opera a lui attribuita comunque rappresenta il libro di cucina scritto in lingua latina più importante, un documento storico molto rilevante e anche un ricettario ancora attuale, pieno di singole ricette che dimostrano come moltissimi dei piatti della cultura italiana, specialmente quelli regionali, derivino dalla tradizione greca e romana.

Il testo è accompagnato da note che illustrano molte curiosità sulle abitudini culinarie degli antichi e perfino sulla conservazione dei cibi.